Il Governo smantella il Superbonus e non sblocca i crediti. Imprese e famiglie nei guai. Disciplina più chiara sui crediti, ma passo indietro per il comparto edilizio e sulla transizione energetica
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- Pubblicato: Lunedì, 20 Febbraio 2023 20:04
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Il cd. Superbonus, introdotto dal Governo Conte-bis con il D.l. 34/2020 (cd. decreto rilancio), è uno strumento che mirava a una ripresa immediata dell’economia interna a seguito della grave crisi economica prodotta dalla pandemia: al fine di rendere più efficienti e sicure le abitazioni, esso prevedeva che gli interventi di ristrutturazione potessero essere svolti anche a costo zero, beneficiando di una detrazione del 110% da applicare sulle spese sostenute. Il beneficio si riferiva a interventi in grado di aumentare il livello di efficienza energetica degli edifici esistenti, ridurre il rischio sismico, prevedere l’installazione di impianti fotovoltaici o infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici. Attraverso lo sconto in fattura, l’impresa anticipava per conto dello Stato un beneficio al cliente, facendo affidamento sulla possibilità di recuperare il valore della prestazione attraverso la cessione del proprio credito a terzi, principalmente alle banche.
La misura era in grado di accelerare il processo di transizione energetica e decarbonizzazione, trainando, di fatto, la ripresa economica nella prima fase post pandemica. Istat ha certificato che tale misura, da sola, ha contribuito al rialzo del Pil del 7,5% e a maggiori entrate allo Stato per 7,5 miliardi di euro. Secondo l’analisi svolta dalla società di ricerche Nomisma, i 71,8 miliardi di euro che lo Stato ha investito sulla misura, hanno prodotto 195,2 miliardi di investimenti, con la creazione di quasi un milione di posti di lavoro (641.000 nel settore edile, 351.000 nell’indotto). La ricerca ha anche rilevato che le emissioni di CO2 degli edifici ristrutturati sono diminuite di quasi il 50%, e le famiglie proprietarie di tali immobili hanno beneficiato di un risparmio sul costo delle bollette tra il 30,9 e il 46,4%. L’istituto ha stimato che lo Stato recupererà la spesa sostenuta in 4 o 5 anni, attraverso le maggiori entrate tributarie derivanti dall’aumento di Pil. Inoltre, si è registrato un aumento del valore degli immobili di circa 7 miliardi. La misura ha favorito una larghissima fascia di popolazione, tra cui ben 1,7 milioni di cittadini con basso reddito, i quali, altrimenti, non avrebbero mai potuto ristrutturare la propria abitazione.
Tuttavia, la sua applicazione ha anche prodotto effetti distorsivi sul mercato e sulla concorrenza. Una ragione su tutte, quella di garantire ai beneficiari un ritorno economico superiore all’investimento complessivo. I costi delle ristrutturazioni hanno subìto cospicui aumenti: l’aumento della domanda delle famiglie, peraltro non incentivate a razionalizzare le proprie risorse economiche, ha comportato un aumento del prezzo dei materiali e ha favorito speculazioni, con un costo finale maggiore per lo Stato. Non sono mancate anche le operazioni illegali. Le frodi consistevano nella creazione e nell’utilizzo di crediti d’imposta inesistenti, mediante la predisposizione di fatture false, al fine di monetizzare indebitamente importi spettanti per opere edili non eseguite o non ultimate. Su 60 miliardi di crediti di imposta legati alla misura, si stima che le frodi ammontino a 5,7 miliardi.