Alessandro Vercesi

Passione, competenza, dedizione,
trasparenza, lavoro di squadra

 

 

 

 

 

 

Alessandro Vercesi

Passione, competenza, dedizione,
trasparenza, lavoro di squadra

Il Governo smantella il Superbonus e non sblocca i crediti. Imprese e famiglie nei guai. Disciplina più chiara sui crediti, ma passo indietro per il comparto edilizio e sulla transizione energetica

Il cd. Superbonus, introdotto dal Governo Conte-bis con il D.l. 34/2020 (cd. decreto rilancio), è uno strumento che mirava a una ripresa immediata dell’economia interna a seguito della grave crisi economica prodotta dalla pandemia: al fine di rendere più efficienti e sicure le abitazioni, esso prevedeva che gli interventi di ristrutturazione potessero essere svolti anche a costo zero, beneficiando di una detrazione del 110% da applicare sulle spese sostenute. Il beneficio si riferiva a interventi in grado di aumentare il livello di efficienza energetica degli edifici esistenti, ridurre il rischio sismico, prevedere l’installazione di impianti fotovoltaici o infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici. Attraverso lo sconto in fattura, l’impresa anticipava per conto dello Stato un beneficio al cliente, facendo affidamento sulla possibilità di recuperare il valore della prestazione attraverso la cessione del proprio credito a terzi, principalmente alle banche.

La misura era in grado di accelerare il processo di transizione energetica e decarbonizzazione, trainando, di fatto, la ripresa economica nella prima fase post pandemica. Istat ha certificato che tale misura, da sola, ha contribuito al rialzo del Pil del 7,5% e a maggiori entrate allo Stato per 7,5 miliardi di euro. Secondo l’analisi svolta dalla società di ricerche Nomisma, i 71,8 miliardi di euro che lo Stato ha investito sulla misura, hanno prodotto 195,2 miliardi di investimenti, con la creazione di quasi un milione di posti di lavoro (641.000 nel settore edile, 351.000 nell’indotto). La ricerca ha anche rilevato che le emissioni di CO2 degli edifici ristrutturati sono diminuite di quasi il 50%, e le famiglie proprietarie di tali immobili hanno beneficiato di un risparmio sul costo delle bollette tra il 30,9 e il 46,4%. L’istituto ha stimato che lo Stato recupererà la spesa sostenuta in 4 o 5 anni, attraverso le maggiori entrate tributarie derivanti dall’aumento di Pil. Inoltre, si è registrato un aumento del valore degli immobili di circa 7 miliardi. La misura ha favorito una larghissima fascia di popolazione, tra cui ben 1,7 milioni di cittadini con basso reddito, i quali, altrimenti, non avrebbero mai potuto ristrutturare la propria abitazione.

Tuttavia, la sua applicazione ha anche prodotto effetti distorsivi sul mercato e sulla concorrenza. Una ragione su tutte, quella di garantire ai beneficiari un ritorno economico superiore all’investimento complessivo. I costi delle ristrutturazioni hanno subìto cospicui aumenti: l’aumento della domanda delle famiglie, peraltro non incentivate a razionalizzare le proprie risorse economiche, ha comportato un aumento del prezzo dei materiali e ha favorito speculazioni, con un costo finale maggiore per lo Stato. Non sono mancate anche le operazioni illegali. Le frodi consistevano nella creazione e nell’utilizzo di crediti d’imposta inesistenti, mediante la predisposizione di fatture false, al fine di monetizzare indebitamente importi spettanti per opere edili non eseguite o non ultimate. Su 60 miliardi di crediti di imposta legati alla misura, si stima che le frodi ammontino a 5,7 miliardi. 

In seguito a ciò, il Governo Draghi, con il cd. decreto antifrode prima e con la legge di bilancio 2022 poi, aveva introdotto restrizioni rigide sull’utilizzo dei crediti e altre disposizioni per contrastare le operazioni fraudolente. A seguito delle nuove norme, nel caso in cui un beneficiario dell’agevolazione avesse monetizzato un credito d’imposta riferibile ad un’opera edilizia non ultimata, si sarebbe configurata una frode ai danni dello Stato.

In un clima di incertezza sul futuro di tale strumento, nel 2022 numerosissimi intermediari finanziari hanno deciso di bloccare gli acquisti dei crediti. Sulla base dei dati pubblicati da CNA nei mesi scorsi, sarebbero di circa 15 miliardi di euro i crediti bloccati, circa 33.000 le imprese artigiane a rischio fallimento – e oltre 60.000 in crisi gravissima – con la perdita di 150.000 posti di lavoro. Draghi, nell’estate scorsa, commentò così la grave emergenza legata ai crediti incagliati: il problema non è il superbonus ma i meccanismi di cessione. Chi li ha disegnati senza discrimine né discernimento è il colpevole di questa situazione. Ora bisogna far uscire dal pasticcio le migliaia di imprese in difficoltà".

Con la legge di bilancio 2023, il Governo Meloni ha ridimensionato la detrazione al 90%, senza però sbloccare i crediti fiscali ancora in essere, prevedendo inoltre:

  • la possibilità di detrarre dall’IRPEF il 50 per cento dell’IVA versata, per l’acquisto entro il 31 dicembre 2023 di immobili residenziali di classe energetica A o B (agevolazione, questa, introdotta per la prima volta dalla legge di stabilità 2016);
  • a determinate condizioni, l’applicazione della detrazione 110% per l'installazione di impianti solari fotovoltaici, se realizzata da organizzazioni non lucrative di utilità sociale;
  • una detrazione del 50% per l'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici, su un ammontare complessivo non superiore a 10.000 euro per l'anno 2022 ed a 5.000 euro per gli anni 2023 e 2024;
  • la conferma del cd. superbonus per gli interventi diversi da quelli effettuati dai condomini, per i quali, alla data del 25 novembre 2022, risultava effettuata la comunicazione di inizio lavori asseverata; per gli interventi effettuati dai condomini per i quali la delibera assembleare che ha approvato l’esecuzione dei lavori risultava adottata prima del 18 novembre 2022 e a condizione che per tali interventi, alla data del 31 dicembre 2022, risultasse effettuata la comunicazione di inizio lavori asseverata; per gli interventi comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici per i quali alla data del 31 dicembre 2022 risultava presentata l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo.

Giovedì 16 febbraio, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto-legge in materia di crediti fiscali che prevede il superamento del cd. sconto in fattura e della cessione dei crediti. Di fatto, il Superbonus è stato, così, superato. Resterà soltanto la detrazione, quale incentivo fiscale.

La norma, inoltre, vieta a Comuni, Province, Regioni e tutti gli enti che rientrano nel cosiddetto “perimetro della Pa” di acquistare crediti fiscali legati a lavori di ristrutturazione. Si tratta di operazioni di acquisto, infatti, che potrebbero essere contabilizzate come indebitamento, possibile solo in forme limitatissime. 

Infine, riprendendo la circolare n. 33/E di ottobre dell’agenzia delle Entrate, il decreto limita la responsabilità del fornitore che ha applicato lo sconto in fattura e dei cessionari dei crediti. Non vi è condotta negligente nel caso in cui siano acquisiti una serie di documenti – titoli edilizi, notifica alla Asl, prove foto e video dell’esecuzione dei lavori, visure catastali, visti, asseverazioni.

Al nuovo regime fanno eccezione soltanto gli interventi per i quali sia già stata presentata la Comunicazione di inizio lavori (cd. Cila). Nel caso di interventi effettuati dai condomini, oltre alla Cila occorre anche la delibera assembleare di approvazione dell’esecuzione dei lavori, mentre, per gli interventi di demolizione e ricostruzione, occorre la previa presentazione dell’istanza per l’acquisizione del titolo abitativo.

Il Governo, con tale intervento, mira a “sgonfiare” il mercato dei crediti, causa di questo grave stallo, attraverso una normativa più chiara. Inoltre, con il divieto agli enti locali di acquistare crediti legati a ristrutturazione, si vogliono evitare nuovi e indebiti innalzamenti di costi a carico di essi e del bilancio statale. Il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Economia hanno contestato la misura originaria, aggiungendo che essa “continua a generare 3 miliardi di redditi al mese: se lo lasciassimo solo fino a fine anno, non avremmo i soldi per far fare la finanziaria”. Lo scorso 2 febbraio, in un’audizione in Commissione Finanze e Tesoro del Senato, Giovanni Spalletta – direttore generale del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia – ha riportato la stima del costo per lo Stato di tutti i bonus edilizi, pari a oltre 110 miliardi di euro al 31 dicembre 2022: quasi 38 miliardi di euro in più rispetto alle previsioni iniziali. In particolare la spesa per il Superbonus sarebbe stata pari a 61,2 miliardi di euro, 24,7 miliardi in più rispetto al previsto. Secondo i dati di febbraio, pubblicati dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), la spesa complessiva per i benefici edilizi ammonta a circa 120 miliardi, dei quali 71,7 miliardi solo per il Superbonus, oltre 10 miliardi in più soltanto rispetto a un mese prima. Occorre tenere presente, tuttavia, che una ricerca pubblicata a fine dicembre dalla Fondazione nazionale dei commercialisti, dimostra che l'effetto espansivo generato dal Superbonus, solo nel 2021 ha inciso per il 15% sulla crescita complessiva, determinando un valore della produzione aggiuntivo di 90,4 miliardi e un valore aggiunto pari a 32, generando maggiori entrate pari a 43,3 centesimi di euro per ogni euro speso dallo Stato. Con i dati relativi al 2022 che indicano un’espansione fino al triplo rispetto all’anno precedente, si calcolano dai 30 ai 40 miliardi in più, se non oltre, nelle casse dell’erario statale.

L’esecutivo, con questo decreto, non individua alcuna soluzione per sbloccare immediatamente i crediti incagliati. Non risale a ieri l’inizio del dramma per migliaia di imprese e centinaia di migliaia di lavoratori. Come consulente legislativo, già la scorsa estate, scrissi un ordine del giorno alla legge di conversione del decreto Aiuti-bis, nel quale si chiedeva al Governo Draghi di intervenire immediatamente.

Inoltre, la decisione del Governo impatterà su 4,6 milioni di famiglie, già intenzionate a presentare la domanda per l’agevolazione. Con il venir meno dello sconto in fattura e della cessione del credito, soltanto le famiglie in condizioni economiche più favorevoli potranno permettersi le spese di ristrutturazione dei propri immobili: proprio coloro che hanno meno necessità di attingere ai benefici pubblici, con un divario sempre più grande tra le fasce di popolazione più agiate e quelle più in difficoltà.

Secondo Abi – Associazione bancaria italiana – il decreto fornisce “un chiarimento e un utile contributo per la maggiore certezza giuridica delle cessioni dei crediti e contribuisce a riattivare le compravendite di tali crediti di imposta”.

Anche Ance – Associazione nazionale costruttori edili – apprezza le disposizioni del decreto riguardo i limiti alla responsabilità del fornitore – illustrate sopra – che permettono di riavviare la cessione dei crediti. Al tempo stesso, però, chiede una “misura tempestiva” che consenta “immediatamente alle banche di ampliare la propria capacità di acquisto utilizzando una parte dei debiti fiscali raccolti con gli F24, compensandoli con i crediti da bonus edilizi ceduti dalle imprese e acquisiti dalle banche”. Come sostenuto anche da Abi, Ance mostra preoccupazione, perché i tempi dello sblocco dei crediti risultano tutt’altro che rapidi, e non compatibili con la crisi di liquidità delle tante imprese.

Le associazioni di categoria, da Confedilizia a Confartigianato a Confindustria, hanno pronunciato un parere nettamente contrario alle nuove misure, perché, bloccando definitivamente la cessione di nuovi crediti da bonus, senza aver sbloccato quelli ancora in essere, getta nel fallimento migliaia di famiglie e imprese. Federica Brancaccio, Presidente di Ance, ha parlato di conseguenze devastanti sul piano economico e sociale.

Il decreto, per Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle – attraverso le parole di Stefano Bonaccini e Giuseppe Conte – getta “migliaia di imprese sul lastrico con i cantieri che si fermeranno”, rappresentando “un colpo mortale per l’edilizia”.

Per il Consiglio nazionale degli ingegneri, il decreto “rischia di generare uno shock di notevoli proporzioni, tenuto conto del numero consistente di cantieri che si stanno ancora aprendo e del livello estremamente elevato di crediti pregressi incagliati”, con la bolla che “rischia di scoppiare per l’intempestività della decisione del Governo di porre fine ad uno strumento che, nel bene o nel male, ha sostenuto un meccanismo ancora più ampio per l’edilizia, che ha contributo non poco al rilancio dell'economia nella fase post Covid”.

Secondo il Consiglio nazionale degli architetti, attraverso le parole del suo presidente, Francesco Miceli, “lo stop allo sconto in fattura e alla cessione del credito per gli interventi legati ai bonus edilizi rappresentano una decisione grave che mette a rischio gli impegni assunti da tante famiglie per il miglioramento della loro abitazione, oltre che il lavoro di decine di migliaia di professionisti e imprese”.

Protesta anche l’associazione degli amministratori di condominio, che sollecita il Governo ad aprire immediatamente un confronto per evitare il rischio di un’impennata di morosità e di contenziosi nei condomini.

Da non dimenticare che già l’ultima legge di bilancio, con la stretta sulle scadenze per l’applicazione del Superbonus, combinata con il moltiplicarsi delle incombenze in materia di ristrutturazioni, aveva reso convenienti solo i lavori più costosi che si potevano permettere la fasce di reddito più alte. E la modifica al 90% introdotta a inizio anno, secondo Ance, già avrebbe penalizzato i condomini partiti per ultimi, abitati, nella maggior parte dei casi, dai cittadini più poveri che si trovano nelle periferie. Secondo Legambiente, già con la sola rimodulazione dell’incentivo ne farebbero le spese le famiglie più in difficoltà, che si sono già viste aumentare i costi anche di 20.000 euro.

Ma vi sono ulteriori effetti negativi che il nuovo decreto va a produrre.

Il provvedimento riforma anche il cd. sisma bonus, che concedeva ai privati che acquistavano in aree sismiche case edificate sulla demolizione di vecchi edifici, la possibilità di ottenere uno sconto dell’85% sul tetto massimo di 96.000 euro di spesa. Con il superamento di tale agevolazione, tutti coloro che rientravano tra i beneficiari, e che stavano perfezionando un acquisto di un immobile con la caparra già versata, in attesa del rogito, si troveranno a pagare ben 86.100 euro in più.

L’Italia è tra i paesi a maggior rischio sismico al mondo: basti ricordare la devastazione dell’Abruzzo – colpita dal terremoto nel 2009 e nel 2016 – oltre a Umbria, Marche e Lazio, anch’esse colpite nel 2016. Qui, le imprese edili lavorano, nella maggior parte dei casi, beneficiando del sisma bonus, e, negli ultimi due anni, il 100% delle abitazioni sono state costruite grazie a tale agevolazione. Da ora in poi, per le costruzioni in tali aree, lo Stato rimborserà solo il 70% della spesa sostenuta: molte famiglie ivi residenti, già provate per la perdita di beni e il ridimensionamento della loro attività economica, non riusciranno a coprire l’importo mancante e dovranno rinunciare a ristrutturare la propria casa. Si consideri che le ristrutturazioni anti-sismiche, nel centro-sud, risultano necessarie per la maggior parte degli immobili presenti, la cui edificazione risale ancora al primo boom edilizio degli anni sessanta.

Tuttavia, non risultano danneggiate solo le popolazioni delle zone sismiche. Le disposizioni approvate coinvolgono anche le agevolazioni in materia di rimozione delle barriere architettoniche: fino al 16 febbraio scorso, lo Stato prevedeva la detrazione del 75% in 5 anni, con la possibilità dello sconto in fattura e della cessione del credito. Con il venir meno degli ultimi due elementi, il bonus è ora usufruibile soltanto da coloro che hanno già la disponibilità economica necessaria per far fronte a questo tipo di spesa. Carlo Giacobini, direttore dell’Agenzia per i diritti delle persone con disabilità, ha definito la misura “inspiegabile”, manifestando delusione nei confronti del Ministro per la disabilità Alessandra Locatelli, la quale non si opposta all’approvazione. Ne fa le spese, di nuovo, chi è maggiormente in difficoltà.

Ai limiti del decreto sotto l’aspetto dei contenuto, si aggiungono perplessità anche sul metodo.

Non sono mancate le frizioni all’interno della maggioranza. Nei giorni scorsi, i capigruppo di Forza Italia di Camera e Senato, Cattaneo e Ronzulli, hanno chiesto un tavolo di confronto per apporre le doverose correzioni, lamentando lo scarsissimo tempo a disposizione per valutare il testo. Non vi sono stati confronti nemmeno tra il Governo e le associazioni di categoria coinvolte, ed i sindacati sono stati totalmente esclusi, come afferma il Segretario della Uil, Pierpaolo Bombardieri. Utile ricordare quando, negli anni in cui era all’opposizione, proprio Giorgia Meloni non mancava di attaccare i governi sul metodo con cui venivano approvati i provvedimenti, lamentando il poco coinvolgimento del Parlamento. L’esempio più eclatante fu il Pnrr, su cui FdI ha votato contro per lo scarso tempo a disposizione per esaminare il Piano.

Lunedì scorso si è tenuto un incontro tra il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Mantovano e le categorie del settore edile. Contemporaneamente, il Vice Ministro alle Infrastrutture Edoardo Rixi, ha chiarito “l'intenzione del governo di far fronte al pagamento nei confronti delle imprese”. Il Ministro dell’economia Giorgetti ha rilevato l’urgenza di correggere il decreto in sede di conversione in legge: dinamiche analoghe a quanto avvenuto all’indomani dell’approvazione del decreto trasparenza carburanti.

Inoltre, come accaduto sul provvedimento citato, Giorgia Meloni, con un analogo video pubblicato sulle sue pagine social, ha scaricato su altri ogni responsabilità politica per i provvedimenti adottati – in questo caso sul Governo Conte – compiendo di nuovo un passo indietro su quanto deciso: riconoscendo l'urgenza di evitare il tracollo di migliaia di aziende, la Premier ha ammesso implicitamente le gravi lacune del decreto.

Quali saranno le correzioni del decreto in sede di conversione?

Saranno sufficienti queste nuove norme per sostenere l’edilizia, il mercato immobiliare e le famiglie con poche risorse economiche che vogliono ristrutturare la propria abitazione? Se Giorgia Meloni e il suo Governo mirano all’indipendenza energetica, è questa la direzione migliore?

Non sarebbe stato sufficiente ridisegnare la disciplina relativa alla cessione dei crediti per prevenire le truffe e contenere i costi per Stato ed enti locali, rimodulando la detrazione? Inoltre, attraverso scelte politiche ben diverse come l’introduzione di un prelievo fiscale sulle transazioni finanziarie, sulle speculazioni e le grosse rendite, l’esecutivo avrebbe recuperato risorse preziose per il rifinanziamento dell’istituto, risorse che sarebbero state ancor più consistenti se si fosse intrapresa una via alternativa al sostanzioso e costoso riarmo, alla flat tax, ai condoni fiscali.

      Questo sito web utilizza i cookie per gestire la navigazione ed altri servizi.

Se si continua la navigazione cliccando su "Accetto"o su qualunque elemento di questo sito, si acconsente all'uso dei cookie. Per saperne di piu'

Approvo

Accesso Utenti