Alessandro Vercesi

Passione, competenza, dedizione,
trasparenza, lavoro di squadra

 

 

 

 

 

 

Alessandro Vercesi

Passione, competenza, dedizione,
trasparenza, lavoro di squadra

Vince la Destra. Il PD al suo minimo storico: proposte poco chiare e poco credibili dopo un decennio al Governo. Decisiva la rottura con il Movimento Cinque Stelle

Risultato prevedibile, quello emerso dalle elezioni politiche di quattro giorni fa, di cui milioni di persone hanno già ampiamente commentato.

Si è registrata l’astensione più alta dalla nascita della Repubblica. I votanti non hanno raggiunto il 65% degli aventi diritto, quasi 5 milioni di elettori hanno disertato le urne.

Non è più tempo di demonizzare chi ha scelto di astenersi. L'astensione è segno evidente non soltanto di disagio e di rabbia, ma anche di rassegnazione: quanto è di più preoccupante in una società libera e democratica. Se oltre il 30% degli elettori ha ritenuto che votare un partito anziché un altro fosse esattamente la stessa cosa, significa che la politica ha fallito. La responsabilità a chi ha goduto di tanto consenso che ha via via perduto con il tempo.

Il successo di Giorgia Meloni è sostanzialmente derivato dal flusso di consensi che già erano in mano al Centro-Destra, progressivamente transitati da Forza Italia a Lega, da Lega a Fratelli d’Italia poi. Giorgia Meloni si è limitata a raccogliere tutti i frutti che si ottengono quando si guida l’unica forza politica che è rimasta all’opposizione negli ultimi dieci anni, presentandosi così come meritevole di una possibilità, in un quadro sociale drammatico dove la povertà aumenta a vista d’occhio, e le emergenze sono sempre più gravi.

Ci sarà una deriva neo-fascista? Improbabile. É probabile, invece, che l’azione del prossimo Governo non sarà così distante dalle politiche economiche e sociali attuate dal Governo Draghi.

In tal caso, con molta probabilità, l’onda elettorale positiva a favore della futura premier sarà destinata, nel giro di un paio d’anni, ad esaurirsi, come è accaduto con Renzi, Grillo, Salvini. Già, perché l’elettorato è sempre più mobile, fluido, in grado di cambiare velocemente opinione e scelte di voto.

Ancora prematuro capire se all’interno della maggioranza prevarrà, nel lungo termine, l’unità oppure le divergenze, e quanta vita avrà il prossimo governo.

Chi sono i grandi sconfitti? Certamente il Partito Democratico, su tutti, certamente la Lega di Matteo Salvini.

Il Partito Democratico ha ottenuto meno di sei milioni di voti, dato peggiore della sua storia, riuscendo a perdere consensi rispetto a quel PD a trazione renziana che con il risultato del 2018 rappresentò il punto più basso della storia del Centro-Sinistra italiano.

Non è difficile comprenderne i motivi: dopo aver governato per undici anni quasi ininterrottamente, come si può essere credibili davanti agli elettori quando si presentano proposte che in molti anni di Governo non sono state mai realizzate? Addirittura, nel programma dei Democratici erano contenute misure che loro stessi, in Parlamento, si sono espressi con voto contrario, quando furono presentate dal Movimento Cinque Stelle. Mi riferisco al salario minimo, ai provvedimenti legati alla lotta alla povertà e alla transizione ecologica.

Ed è anche su questo che nasce il grande recupero di Giuseppe Conte, ritenuto da milioni di cittadini più credibile di altri, nonostante avesse subìto un'imponente campagna denigratoria proveniente da tutte le altre forze politiche, e forte anche delle conquiste ottenute nel suo secondo Governo, quali i fondi ottenuti dall’Unione Europea attraverso il Recovery Fund.

Ha totalmente ragione chi ritiene che il PD debba essere rifondato con una nuova piattaforma valoriale e una nuova classe dirigente.

Gli errori compiuti sono molto gravi. Progressisti sulla difesa dei diritti civili, ma non altrettanto su lavoro, economia e ambiente, con un programma dai riferimenti troppo astratti a Europa, Agenda Draghi e democrazia, e colpevole di essere stato intransigente sull’invio di armi in Ucraina, non concedendo alcuna possibilità di confronto serio al proprio interno e con i cittadini. Il 19% è un risultato addirittura generoso, frutto anche della logica del voto utile, che ha portato molti elettori a confermare la fiducia a Enrico Letta, al solo fine di evitare che fosse la Destra a vincere le elezioni.

La guida di Enrico Letta ha sbagliato la strategia sulle alleanze, dimostrando di non avere un’idea chiara di Paese, prima accordandosi con Calenda, poi con la Sinistra di Fratojanni, in questo momento due forze tra loro inconciliabili, provocando così la rottura con il primo. L’alleanza con Di Maio è stata altra causa dell’emorragia di voti, e non occorre spiegarne i motivi.

Ma l’errore più grande che ha caratterizzato sia la sconfitta del 2018 sia quest’ultima, è il non aver intuito che la direzione da seguire fosse unicamente la costruzione di una coalizione organica e stabile con il Movimento Cinque Stelle, l’unica forza alternativa alla Destra ad avere intercettato il disagio crescente della popolazione, nelle periferie, al Sud, tra i giovani, a differenza dei democratici. Un partito, il PD, divenuto punto di riferimento delle élites, con buona pace dei suoi valori e della sua storia, che ora appare così gloriosa se si pensa a quanto riuscì, durante la Prima Repubblica, a rappresentare i ceti medi e bassi, e a stimolare cambiamenti nel nostro Paese.

La direzione da seguire doveva essere quella di isolare politicamente, anche con l’aiuto delle forze più moderate e centriste, i partiti di Meloni e Salvini, notevolmente spostati a Destra: si è assistito, al contrario, all’isolamento del Movimento Cinque Stelle, anche da parte dell’ala più liberale dei dem, dei renziani e di Calenda. Movimento da tutti giudicato, tra l’altro, il responsabile della caduta del Governo Draghi, offrendo una ricostruzione artefatta rispetto a quanto in realtà è accaduto in Parlamento la scorsa estate.

Eppure, la pandemia, la guerra, la siccità, la crisi energetica, la povertà crescente e la precarietà lavorativa, dimostrerebbero la centralità dei capisaldi storici dei programmi delle forze progressiste, quali l’occupazione, salari e tutele adeguate, efficienza del servizio sanitario e della scuola, difesa dell’ambiente, transizione ecologica, ricerca della pace tra le nazioni attraverso i canali diplomatici. Battaglie fatte proprie dal Movimento Cinque Stelle, ora identificabile come la prima forza progressista del Paese, e non sufficientemente dal Partito Democratico.

PD e Movimento Cinque Stelle sono forze tra loro complementari, in grado di costruire un progetto vincente a lunga scadenza. Chissà che il compiersi del processo di maturazione degli ex grillini e la nuova dirigenza dem non centrino questo obiettivo, che li porterebbe di nuovo a rappresentare efficacemente molti strati della popolazione, colmando quel vuoto nell’area di centro-sinistra, e ad ambire ad essere maggioranza nel Paese e in Parlamento.

Già, perché occorre considerare che complessivamente, anche in queste elezioni, le forze di opposizione alla Destra, hanno totalizzato quasi il 50% dei consensi, maggiori di quelli raccolti dal Centro-Destra. 

Ed ora un commento sulla Lega, che, dal canto suo, si è trovata ad essere una copia di Fratelli d’Italia, trasformata ormai da anni da Salvini in forza sovranista e nazionalista, con il tema dell’immigrazione, suo cavallo di battaglia, che, a seguito della pandemia, della guerra e della crisi economica ed energetica, ha perso progressivamente peso nell’opinione pubblica, smarrendo la propria identità di forza in grado di dare piena attuazione del federalismo fiscale, punto di riferimento delle istanze del Nord Italia. La sua partecipazione al Governo di larghe intese ha creato difficoltà a Matteo Salvini, che ha affannosamente tentato, non senza ambiguità, a distinguersi dalla linea di Draghi, votando contemporaneamente, tuttavia, a favore di ogni provvedimento del Governo.

Per concludere, l’auspicio è che si faccia finalmente tesoro delle sconfitte, e che il nuovo Governo non avvii riforme orientate alla compressione dei diritti civili, a una politica fiscale non progressiva – contraddistinta da regimi di tassazione identici per tutti, che favorirebbero i più ricchi ed esaspererebbero le disuguaglianze – ai tagli alla sanità e all’istruzione. Mi auguro, inoltre, che non si prospetti una riforma della giustizia che vada a minare l’indipendenza della magistratura nei confronti del potere politico, motivandola magari con la necessità di assicurare uno Stato maggiormente garantista.

Infine, un monito a Giorgia Meloni: non creda che essere eletti direttamente dal popolo significhi, oltre avere la legittimazione a governare, anche il diritto di attribuire automaticamente a sé il potere di restringere libertà e diritti. Anche se non accadrà questo, meglio ricordarlo.

Buon lavoro al nuovo Parlamento.

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